Ad Andrea, allievo di gatti
La pioggia picchietta sui vetri.
Un’occhiata svogliata al mondo fuori basta a convincermi che è meglio non abbandonare il calore delle stanze.
Nel tepore indolente che si annida tra i cuscini, mi fondo coi suoni del tempo che non scorre.
Fu un gatto a insegnarmi la ricchezza dei momenti, l’abbondanza dei silenzi, il senso dell’attesa.
Nelle sue lunghe ore sonnecchianti, mi accorsi che non stava dormendo.
Al contrario, il gatto in apparenza assopito è degustatore del tempo.
Nel mistero della sua quiete cela una nostalgia d’eternità.
Con la medesima perizia con cui analizzerebbe – da sveglio e in allarme – un odore sconosciuto, il gatto scompone il momento sospeso.
Gli occhi socchiusi, il respiro leggero, il corpo raccolto, Maestro Gatto considera fino alle più impercettibili mutazioni dell’ambiente, assapora ogni suono, profumo o volteggio dell’aria.
Se qualcosa si muove, un bagliore dello sguardo ne rivela la vigilanza, come un raggio di sole svela un frammento d’ambra nascosto nel fango.
Maestro Gatto è al mio fianco.
Insieme consideriamo le dissertazioni della pioggia.
Il presente scorre attraverso di lui ed io desidero fare altrettanto, ampliarmi, diluire i miei confini ed essere ora, senza tempo, senza prima né dopo, leggera come il suo respiro, disciolta nel ricordo di me in una pigra giornata di pioggia.
