[ me for © Valerio Lelli photography]
Alcuni mi chiamano “vergogna”, altri preferiscono “colpa”, altri ancora non osano darmi un nome, ma tutti mi conoscono, anche tu.
Inutile fuggire: tornerai ancora, e ancora… L’agitarsi del mondo non è un rifugio, solo un breve oblio che non ti terrà a lungo lontano da me.
Sarà l’odore di certi capelli, una manciata di parole che spezza le catene dell’abitudine, il riverbero di uno sguardo più audace del tuo… Là mi riconoscerai.
Io sono Ombra, da me non si sfugge.
Sono la vertigine che attanaglia il tuo stomaco la mattina, davanti allo specchio. Non è fame, è nostalgia di te.
Mi copri il capo, mi mascheri il volto e mi getti addosso un mantello scuro nella speranza di confondermi con le tenebre da cui emergo, ma sono io la Tenebra.
Mi chiami “spettro” perché speri che io non sia realtà, ma sei tu l’illusione, una messa in scena di vite già vissute, un golem di frammenti altrui che non ti somiglia.
Ne ho conosciuti tanti di golem, ma serbo il ricordo degli altri, quelli che non si annullano come granelli di sabbia sulla riva del mare, nell’attesa dell’onda salvifica della morte. Per loro morire sarà come ricominciare, fino a quando si accorgeranno che è una barca che gli manca.
Così si ama: divenendo navigatori che affrontano l’abisso dell’io-non-sono.
Per loro la maschera s’infrange col rumore metallico di mille serrature che scattano all’unisono. Il cappello si solleva, liberando uno sciame di desideri traditi, mentre il mantello scivola a terra col profumo d’una carezza attesa da sempre.
In ogni granello di sabbia dorme un navigatore.
Accogli le tenebre che ti appartengono: potresti trovarci del legno, costruire una barca e poi… salpare!
Per amarmi, come solo i navigatori sanno fare.
La scelta è sempre una soltanto: la sabbia, o il mare.
© Alice Rocchi
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