[ foto di copertina © Candy Szengel ]
Questa è una piccola, preziosa storia che ho custodito per anni ed è venuto il momento di raccontarla, perché faccia del bene ad altri.
Molti anni fa, una bambina mi insegnò un incantesimo della cui potenza non mi accorsi subito.
Conservai il ricordo senza condividerlo con anima viva, fin quando quelle parole mi vennero in soccorso, in un momento in cui non avevo la forza di prestare ascolto a niente e a nessuno.
Tutto iniziò dalla bambina che mi coinvolse, non ricordo più come, in una disquisizione sulle fate. La piccola dimostrò di essere molto preparata e per non sfigurare, dato che nemmeno io ero una novellina, elencai le mie letture a riguardo.

Quando la piccola si lamentò dei suoi amici che la prendevano in giro, perché per lei la questione dell’esistenza delle fate era bella che risolta – sì esistevano, fine della storia – io scrollai le spalle:
«Io ci credo, perché no?»
A quel punto, la bambina mi ritenne meritevole di una confidenza:
«Ne ho tante a casa sul comodino, ma la mia preferita è una piccola statuetta che è caduta più di una volta. È piena di schegge e di crepe, perché l’ho riparata tutte le volte. Non la voglio buttare: ci tengo troppo. È la Fatina delle Lacrime, così l’ho chiamata».
Incuriosita, le feci altre domande perché mi raccontasse di più.
Mi confidò allora che ogni volta che la tristezza non la lasciava in pace, oppure quando pensava delle cose brutte sui suoi genitori (ero a conoscenza dei problemi che a casa stava attraversando), correva a parlarne con la fata.
«… e come finisco di parlare puf! La tristezza non c’è più. Se non funziona, lo scrivo su un foglio, lo piego e lo lascio sotto di lei tutta la notte, così ha il tempo di portare le lacrime sulla luna. La mattina dopo faccio il foglio a pezzettini piccoli piccoli e lo getto via. Dopo che la fata è volata via con le lacrime, mi sento molto meglio».
«Che fortuna che hai! Credo che farebbe bene a tutti avere una fata delle lacrime con cui parlare», esclamai dopo un momento di riflessione.
Qualche tempo dopo ci rivedemmo, e prima di separarci la piccola mi infilò un foglio in tasca. Dopo essersi guardata attorno con aria misteriosa, mi bisbigliò all’orecchio:
«Adesso anche tu hai la tua».

In una notte particolarmente buia, in cui riposare mi era impossibile, mi ricordai della fata. Mi parve così luminosa rispetto alle nebbie in cui mi trovavo.
Pensando a lei, mi sedetti davanti a un foglio di carta, che subito tagliai in pezzi, sapendo che non sarebbe mai bastato a contenere il caos che avevo dentro.
Tracciai poche parole per ciascun biglietto, chiamando per nome ogni cosa che via via affiorava dalle tenebre. Pensieri deformi, odiosi, dalla coda a scaglie e gli artigli affilati.
Procedevo a scatti: dapprima rapida, impaziente, poi di colpo mi arrestavo, avendo incontrato una tenebra troppo spessa, impossibile anche solo da avvicinare. Poi, con uno sforzo sovrumano iniziavo col sollevare una delle scaglie della superficie, tremando al cospetto del mostro, per scoprire che il dolore è facile da sfogliare, come una fiore chiuso, petalo dopo petalo, fino al centro che né è il principio.

Quando, sfinita, deposi la penna, mi sorpresi di quanto i mostri facessero meno paura, adesso che avevo deciso di guardarli.
Qualcuno, a dire il vero, non aveva nemmeno tutti i torti. Qualcun altro aveva l’aria d’aver fatto il suo tempo, così decisi di lasciarlo andare.
Non rividi mai più quella bambina ma, se dovessi avere questa fortuna, credo che le direi che la mia fatina ormai è una campionessa di volo, che l’ho mandata avanti indietro dalla luna molte volte.
Che talvolta un biglietto torna dal viaggio perché ha altro da dire, mentre altri sono svaniti nel fuoco per sempre.
Che ho imparato che ogni lacrima e brutto pensiero ha il suo tempo, il suo nome, la sua voce e soprattutto qualcosa da dire.
E che una volta che li ho ascoltati fino in fondo non mi tormentano più anzi, partono lasciandomi qualcosa di prezioso che può appartenere solo a me.
Infine le confesserei di aver insegnato l’incantesimo ad altre persone dopo quella notte, ma per una buona causa, e che grazie a ciò tante lacrime sono state portate via.

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