Il circolo felino-sofico dello square du Temple
Ad Ada,
Adepta del culto felino.
Presso i parigini del Marais sono conosciuto come Le Grand Chat, in omaggio alle mie forme generose.
La mattina presto, allo square du Temple, sono solito incontrare Velours, un giovane soriano che porta con regolarità il suo umano a prendere aria. Questi è una brava persona devota e affidabile, ma anche emotivo e ansioso.
Per esempio, non ha nessuna fiducia nel proprio senso dell’orientamento. Per aiutarlo a superare la paura di perdersi, Velours gli consente di legarsi a lui tramite un lungo laccio agganciato a una pettorina. Una soluzione imbarazzante, che la prima volta mi fece sfuggire una battuta di spirito.
Ignorando dignitosamente quella mancanza di riguardo, Velours mi spiegò che, prima di lui, il suo umano aveva vissuto con un cane. Mi affrettai allora a scusarmi, vedendo improvvisamente la situazione sotto una luce diversa: non possiamo sapere, infatti, quali segni l’esperienza possa aver lasciato.
Con Velours conversare è un autentico piacere, ma il tempo a disposizione non è mai sufficiente.
Il tema dei cani ci appassiona particolarmente. Concordiamo nel ritenerle creature semplici e caotiche, piacevoli e perfino utili quando adeguatamente educate, ma totalmente ingestibili se lasciate crescere senza una valida guida felina.
Soprattutto, è saggio non giudicarli dall’apparenza.
Prendiamo il caso delle perfide Coco e Chanel: il loro pelo è il più lindo e pettinato del quartiere, ma la perfidia di quelle cagnette non ha eguali.
Interrompono senza alcun riguardo le mie ore di immobilità per il solo gusto di farlo, pur sapendo che quattordici ore di sonno non si dormono da sole! Dopo le loro aggressioni immotivate, mi occorrono sessioni interminabili di toilette per rassettare la pelliccia e ritrovare la serenità.

Se un manto ben pettinato non può guarire un’indole selvaggia, il caso del buon Flaubert dimostra che, al contrario, sotto un’enorme montagna di pelo grigio e arruffato può celarsi uno spirito gentile dai modi signorili.
Il grosso cane, sedicente “pastorie Catalano”, è un habitué dello square, dove i suoi umani gli lasciano libertà di movimento e a ragione: mai una volta che abbia importunato un gatto. Ricordo che un giorno commentai con Velours:
«Ecco un cane che sembra per bene».
La conferma definitiva la ebbi una sera durante la mia abituale passeggiata sui tetti per puro caso quando, attirato da una ciotola mezza piena lasciata incustodita, saltai proprio nel suo balcone senza saperlo.
Non mi accorsi della sua silenziosa, mastodontica presenza oltre i vetri socchiusi. Mi accinsi invece a svuotare la ciotola e quando la sua voce rassicurante mi raggiunse, non ebbi nemmeno il riflesso di arruffare la pelliccia.
Flaubert mi invitò a terminare senza fare complimenti. Che educazione! Che classe!
Il mistero si risolse in un lampo, quando apparve al suo fianco una sublime gatta color angora. Vennero subito scambiati i dovuti convenevoli e così appresi che il nome della leggiadra creatura era Colette.
Flaubert, Colette ed io diventammo rapidamente ottimi amici.
Il piccolo balcone, incastonato tra i tetti spioventi che circondano lo square du Temple, è divenuto col tempo la sede delle nostre riunioni. Vi trascorriamo lunghe ore discutendo, teorizzando, speculando sulle più diverse tematiche, la più gettonata delle quali è senz’altro la stranezza dei comportamenti umani.
Gli appuntamenti si fanno più frequenti a partire dalla primavera, quando iniziano le prime serate tiepide e non si trova più un parigino in casa.
Con l’arrivo della bella stagione infatti, verso sera, l’essere umano adora accalcarsi coi suoi simili sul prato sottostante, oppure ai tavolini dei cafés per godere delle ultime luci del giorno.
Una dei dibattiti più animati riguardò proprio le possibili ragioni dietro questa strana abitudine, che si manifesta nei giorni senza pioggia e per circa cinque giorni consecutivi ogni settimana. Perché uscire di sera e non di pomeriggio, quando c’è più luce e l’aria è più tiepida? Il mistero permane irrisolto.

Ieri sera, su mio invito, ci ha raggiunto Velours, che ama sgattaiolare fuori dall’appartamento quando il suo parigino ansioso è fuori con la sua compagna.
«Così posso godermi una serata all’aperto senza preoccuparmi per lui».
Per l’occasione, abbiamo deciso di affrontare lo spinoso problema dell’educazione degli umani e io sono quasi giunto a convincere Flaubert della fondatezza della mia teoria, secondo la quale i cani sbaglierebbero a indirizzare tanta adorazione incondizionata a delle creature immature.
Colette, dal canto suo, ritiene che cani e gatti dovrebbero mantenere dei ruoli distinti. I primi hanno una tendenza naturale a fornire supporto emotivo, i secondi sono invece più indicati per ridimensionare la tendenza umana alla tracotanza.
«Credono sinceramente alle storie che si raccontano – ha spiegato la gatta – come quella di progredire in continuazione. Certamente migliorano sotto certi aspetti, ma dall’altra parte investono troppe energie nel mettersi in mostra, più pavoni dei pavoni, senza peraltro sapersi amare davvero».
Velours ha annuito con espressione grave, prima di riferirci delle scenate che si verificano ogni volta che viene scoperto acciambellato su un maglione o a farsi le unghie su una bella borsa di cuoio.
«Lo stesso accade ogni volta che mastico una scarpa», ha confermato serio Flaubert.
«Si coprono perché non si piacciono, poverini», ci ha illuminato la saggia Colette.
«E riversano così la loro frustrazione su di noi – ho aggiunto io – perché sono invidiosi della nostra imperturbabile nonchalance».
Al termine della serata, abbiamo concordato tutti e quattro che solo l’esempio animale potrà spingere un giorno gli umani a vincere l’insicurezza e che i gatti in particolare hanno il dovere di insegnare le basi del fascino e della self-confidence, soprattutto quando il caso sembra senza speranza.
Allora i cani potranno masticare scarpe senza incorre in punizioni e i gatti sguazzeranno liberamente negli armadi, come è giusto e sensato che sia.
(Secondo capitolo qui)